lunedì 29 luglio 2013

Stare Male Seriamente (Ricotta di bufala)



“Quando torno ti abbraccio così stretto da toglierti il respiro :-*”. Continuo a rileggere il suo messaggio, non riesco a smettere. Ormai lo faccio almeno cinque o sei volte al giorno.
Di solito comincio la mattina, appena alzato, mentre aspetto che passi il caffè. Accendo il cellulare e lo guardo avviarsi, prendere colore e poi presentare tutte le sue belle icone. Lo fisso sperando che trilli per l’arrivo di qualche suo nuovo messaggio. Non succede mai, trillare ogni tanto trilla, ma non è mai lei.
Allora lo prendo e scorro i messaggi vecchi e rileggo ancora una volta quello: “Quando torno ti abbraccio così stretto da toglierti il respiro :-*”. Lo leggo tutto insieme, poi una parola alla volta, cerco di immaginarmelo detto da lei, di sentirlo pronunciato dalla sua voce. Poi mi sento scemo e smetto, e prendo la caffettiera e verso il caffè nella tazzina. Per quanta attenzione faccia, me ne cade sempre qualche goccia sul pianale del lavello e allora devo prendere lo straccio, bagnarlo, strizzarlo e passarcelo sopra, portando via le gocce di caffè.
Il suo messaggio “Quando torno ti abbraccio così stretto da toglierti il respiro :-*” lo rileggo aspettando l’autobus, poi un paio di volte al lavoro, poi tardi, dopo cena, prima di spegnere il cellulare e andare a letto con un nodo in gola, perché ogni sera sono certo che se solo avessi tenuto il telefono acceso ancora trenta secondi lo avrei sentito squillare.
Che poi nemmeno mi serve avere il cellulare, quel messaggio, quelle nove parole, me le vedo stampate davanti e me le ripeto nella mente di continuo, in maniera ossessiva, mentre programmo, durante le riunioni. Ogni tanto se qualcuno mi vede particolarmente distratto mi chiede: “Tutto bene? C’è qualcosa che non ti è chiaro?” E io allora rispondo: “Tutto bene, tutto cristallino”.
In realtà non ho capito una sola parola di quello che hanno detto, sto solo pensando a quante cose si dicono pensando che siano vere, o magari solo perché non costa niente e si crede di far piacere a chi le sente, senza considerare quanto male gli faranno in un secondo momento, quando si saranno rivelate irrimediabilmente false.
Ogni tanto mi fisso a guardare fuori dalla finestra dell’ufficio, osservo la gente che passa, un signore col cappello che porta a passeggio il cane, una signora con la borsa della coop, una ragazza con lo zainetto colorato e le all stars. Li invidio tutti, ogni volta vorrei essere loro. Mi sembrano totalmente senza problemi, mi immagino che abbiano qualcuno che li aspetta, qualcuno per cui cucinare, qualcuno che li passerà a prendere. Vorrei le loro vite, vorrei barattarle all’istante con la mia. Vorrei essere chiunque, tranne il destinatario di quel messaggio.
Sto male, seriamente. Tutto per un SMS, nove parole, cinquantatre lettere e quella bacino al termine, a fare da timbro.
L’unica attività che mi da un po’ di sollievo è fare la spesa. Passeggiare per i corridoi ordinati e luminosi del supermercato, tra persone che sono tutte lì per il solito motivo, tutte impegnate nella solita identica attività. Al supermercato siamo tutti uguali, al supermercato pensiamo tutti alla stessa cosa, anche io.
Penso solo a cosa devo comprare, penso solo a trovare le migliori occasioni, sfruttare le offerte promozionali. Mi fermo davanti al banco dei formaggi e osservo l’etichetta rossa, indice di prodotto in promozione, del pecorino di Pienza. Lo prendo, pregustandone il sapore, cercando di annusarne l’aroma attraverso lo spesso strato di cellophane, poi lo metto nel carrello. Faccio così con tutto. Ogni volta che fiuto un’occasione, o semplicemente scorgo un articolo insolito o che non ho mai acquistato, mi si accende qualcosa dentro, comincio a rimuginare sui suoi possibili usi, su come impiegarlo al meglio, in maniera creativa. A volte mi fermo davanti a uno scaffale, ipnotizzato da un tipo di salume o di cereale e non riesco a resistere fino a casa, prendo il cellulare e mi collego in rete alla ricerca di ricette che lo valorizzino, navigo sui forum spulciando i pareri degli utenti.
Fare la spesa è un’attività che ormai mi porta via almeno un’ora, spesso un’ora e mezza.
E mi sta rovinando finanziariamente.
Spendo molti soldi e acquisto molte più cose di quante ne riesca a consumare, ma non posso farne a meno, quei momenti al supermercato sono ormai gli unici in cui non penso a quello stramaledetto messaggio.
Il mio frigo trabocca di alimenti e emana costantemente un odore di decomposizione. Devo continuamente buttare via affettati, latticini e verdure marcite. La frutta, ammassata in un cesto sopra il frigo va in putrefazione alimentando colonie di moscerini che svolazzano per tutta la cucina. Non riesco a star dietro alle date di scadenza, tutto si consuma e muore e io non riesco a farci nulla.
Anche oggi sono uscito, sono andato al lavoro, e adesso la ricottina di bufala che speravo di gustare proprio stasera è ormai piena di muffa. È diventata qualcos’altro, mentre io non c’ero, qualcosa di guasto, che non va più bene.
“Quando torno ti abbraccio così stretto da toglierti il respiro :-*”. Doveva tornare cinque giorni dopo. Ormai sono passati tre mesi. Tornare è tornata a dire il vero, solo che non mi voleva più abbracciare. Abbracciava un altro, uno che le piaceva più di me, che nel frattempo ero evidentemente andato a male.
Da allora non faccio che rileggere quel messaggio. Lo guardo e penso: esiste, aveva detto così, lo aveva detto a me, non a quel coglione che abbraccia adesso. Cos’avrà lui più di me? Come ha fatto a prendere il posto che lei aveva promesso a me?
Guardo la ricottina di bufala e poi il cellulare appoggiato sul tavolo di cucina. Lo raggiungo, poso il formaggio e prendo il telefono, scorro i messaggi, arrivo al suo, lo leggo di nuovo, “Quando torno ti abbraccio così stretto da toglierti il respiro :-*”, premo cancella messaggio e poi ok. Cancello tutti i nostri messaggi, poi cancello anche il suo numero, poi poso il telefono, prendo un cucchiaio e mi siedo.

Apro il vasetto della ricotta di bufala, affondo il cucchiaio nella muffa, lo sollevo, lo osservo controluce, in qualche modo sembra un dolce a due strati. Lo metto in bocca, mastico. Ha un sapore disgustoso, ma non mi interessa. Non mi interessa se è andata a male, se mi farà male, le avevo promesso di mangiarla, la mangio, succeda quello che deve.
È giusto così.

af

martedì 16 luglio 2013

I tuoni

Francamente, non le trovo più le parole.
A forza di rimbombar di tuoni nella testa le parole sono scappate via, forse spaventate,  magari indignate. Probabilmente si trovavano solo di passaggio lì da me e per un attimo ho creduto che da me potessero per sempre restare. Come un affido temporaneo, prima o poi ritornano al genitore originario.
E quando la porta si chiude e tu rimani all'interno della stanza senza le tue parole, comprendi la tua precarietà. La bocca che fino a poco prima si spalancava in sostantivi ricercati adesso rimane muta, disegna con le labbra dei piccoli cerchi nell'aria che svaniscono in fretta. Non sei e non sai. Non puoi e non fai. Tendi l'orecchio alle parole altrui per trovare conforto ma sai che non sono le tue parole.
Dove siete andate?
Perché mi avete abbandonato?
I tuoni nella mia testa non smettono, c'è chiasso, ogni via è un lutto, regna il disordine.
Francamente, che serve ancora restare, senza le parole che ti possono raccontare?

lunedì 8 luglio 2013

Il punto fisso

 
Posso restare ore a fissare un punto. E posso restare così fermo a fissare un punto da poterti convincere che non è un punto qualunque, ma quel punto, il punto che cercavi, quello da cui credi di poter ripartire.
Posso restare fermo respirando lentamente e posso rimanere anche in apnea per qualche minuto che intanto è lo stesso, non sono io che compio uno sforzo ma è la potenza di quel punto a essere più forte delle mie stesse suggestioni.
Quando lo fisso so che lui, dopo poco, si anima e mi si fa incontro. A volte mi gira intorno come a volermi sfidare ma io lo lascio fare e non sposto lo sguardo di un centimetro. Lui lo sa che non può resistermi, lui è un punto fisso e per quanto si sforzi in animosità, in gesti eclatanti, sa perfettamente che il suo posto è solo quello, quello di un punto fisso. Per questo lo osservo di continuo.
Il punto, quel punto, nasce lì perché lì è stato pensato.
Il punto, quel punto, ho deciso io che doveva essere lì e lui lì deve restare.
Nella democrazia dei concetti, ciascuno esprime il proprio, qualcuno si allinea ai più in uso, altri ne tracciano una loro traiettoria personale, ma sempre concetti restano e come quel punto lì, lì restano.
Tu mi hai detto che se non mi avessi incontrato non sarebbe stata la tua vita e io sono diventato un punto, ho una collocazione e lì devo stare.
E forse è giusto così.
Un punto fisso, se lo osservi, è un tuo punto di vista e come tale cresce in te e per te prende vita.
Nessuno può giudicare un punto.
Nessuno può biasimare un punto, ciascuno può soltanto farsene carico come osservatore o osservato.
E il punto non può smettere di essere un punto.
Il resto sono solamente sonno, occhi chiusi, e sogni sognati.