giovedì 1 novembre 2012

Lena

Lena era uscita dalla porta della cucina. Aveva imparato da poco a camminare e stava già mettendo a dura prova la pazienza di sua madre. Fuggire dalla stretta vigilanza era un’avventura. Il primo assaggio di libertà! La sua pancia era in subbuglio, tremava per la paura e desiderava vedere come fosse là fuori.
Davanti a lei si stendeva l’acciottolato del cortile. I sassi arrotondati si stringevano in file ordinate gli uni agli altri, formando una superficie solida e regolare pronta a sorreggere il peso degli animali da tiro e del loro carico. Alla fine di ogni giornata di lavoro Vanni, il fattore, spazzava ogni anfratto del cortile. Non lasciava che nemmeno un filo d’erba potesse attecchire. Era un uomo grande e forte Vanni. Ogni volta le trasmetteva allegria e tranquillità. Aveva poi quell’odore buono di fieno, quelle mani spesse e la forza di chi è abituato a faticare senza sosta.
Lena Stava ammirando il labirinto che correva tra le pietre. Era stupita e meravigliata. Si chinò a toccare i ciottoli tondi, le piaceva quella superficie liscia e calda. Guardò avanti verso il portone e iniziò a muoversi sulle sue gambe tozze e corte. Sotto il sole di metà giornata nessuno poteva ammirare la sua impresa. Sola in quello spazio immenso, nelle sue scarpette e nel suo vestitino bianco della domenica. Era arrivata ad appoggiare la mano sul portone di legno, aperto per accogliere i braccianti di ritorno dai campi. La sera sarebbe stato chiuso per lasciare fuori l’universo e i suoi problemi.
Lena stava per fare il suo primo passo all’esterno. Udì tremare una voce : ”Lena, dove sei?” Non si lasciò fermare, avanzò. In lontananza si udivano dei rumori, qualcuno stava correndo sulla ghiaia. Un uomo in divisa con il volto trasfigurato dalla fatica, sporco di terra e sangue, uscì dalla curva. Altri due gli erano dietro minacciosi, imbracciavano dei fucili. iniziarono a sparare. Le pallottole schizzarono sulla ghiaia e alcune scintille si accesero a fianco a Lena. L’uomo, colpito, cadde davanti a lei. Si alzò la polvere intorno. Gli occhi vitrei, uno sguardo vuoto fisso su di lei. Dietro, le grida di sua madre. Davanti, due sconosciuti le correvano contro. Due facce piene di rabbia e odio. Chiuse gli occhi pregando che scomparissero. In quel momento cadde il silenzio.
Le sue palpebre si risollevarono. I suoi piedi erano più grandi e riempivano delle scarpe nere, proprio come quelle della mamma. Non capiva. Il suo corpo era mutato e sembrava che gli alberi e la casa avessero una dimensione diversa. Era ancora sotto l’arco del portone. Si accorse di avere sotto braccio una conca. Nel prato all’esterno c’erano i panni stesi. Rientrata all’improvviso nella realtà, lasciò il suo stupore e i suoi pensieri quasi non fossero mai esistiti. Si diresse verso il bucato. L’odore delle lenzuola annegate nella luce di quell’agosto la inebriavano. Rimase per qualche istante ferma a farsi accarezzare dai panni mossi dal vento, le sue narici si riempivano di quella fragranza. Si scosse di dosso quella sensazione di leggerezza e iniziò a tirar via dalla corda un lenzuolo.
Un sipario scoprì un viso. Un uomo dall’età non definibile con un sorriso dolce. Stava lì fermo a guardarla, come se la vista di Lena fosse l’unica cosa che gli potesse permettere di esistere. Lena non si era spaventata, anche lei guardava incuriosita. Fermi tra i panni e la brezza estiva, una manciata d’aria a separarli. Potevano sentire uno l’odore dell’altra. Lena entrava nelle narici dello straniero con la freschezza di chi ha ancora dei sogni. Lo straniero, nei suoi vestiti logori e nel suo cespuglio di barba, portava un odore pieno di esperienza. Lena si sentì accarezzare il volto, una mano ruvida piena di calore umano.
Un urlo la riportò di nuovo alla sua realtà:
”Lena!”
Irrigidita allontanò il proprio corpo dall’uomo. Senza guardarlo iniziò a raccogliere la biancheria ripiegandola con cura. Il tepore e la tranquillità erano scomparsi dal suo cuore. Quando ebbe finito il suo lavoro, l’uomo era scomparso e con lui quell’assaggio di felicità. La tristezza stava prendendo il sopravvento nel suo cuore. Si sentì sola. Le lacrime le annebbiarono la vista. Singhiozzava e tremava. In questo pianto ogni giorno abitava la sua carne, sembrava che il mondo scorresse veloce sotto i suoi piedi, sentiva che il tempo le fuggiva tra le dita.
Ecco che riusciva a fermare un fotogramma. Era un ricordo o il suo presente che prendeva corpo? La sua voce era quella di una donna adulta. Sentì le sue labbra dischiudersi:
“Tino dove sei?”
Il grido di chi cerca il proprio figlio. Un bambino correva sotto il sole, saltava spensierato felice di sentire il sapore delle gocce di sudore. Voleva raggiungere il portone. Si girò e salutò sua madre. Un sorriso sdentato raggiunse Lena che rispose abbandonando la sua ansia. Tino correva libero sulla strada.
Il caldo si fece infernale. “Non c’è più tempo” Pensava “bisogna andare, bisogna uscire.” L’erba cresceva in fretta e soffocava i ciottoli. Si era fatto tutto luce intorno. Ora Lena capiva, vedeva chiaramente. Ora poteva svegliarsi e iniziare la sua giornata. Solo che bisognava ricordare a che punto aveva lasciato la vita.
Non riusciva a respirare bene. Un dolore lancinante risaliva il suo petto, come una radice calda che cresceva per stritolare cuore e polmoni. L’aria entrava e usciva con un sibilo dalla sua bocca. Intorno a sé vedeva muri scrostati. Le lenzuola erano ingiallite. Erano anche appiccicose, come intrise di sudore. Una donna stava in piedi affianco al letto. Un uomo la teneva per mano in una stretta salda, per non lasciarla andare. Sembrava volesse darle un appiglio sicuro. Si, era Tino! Era lì! Le sembrava stanco, forse anche triste, ma almeno era vero.
Lena si ricordava.
Capì.
Oggi era lì per salutare e finire il suo sogno.