domenica 17 febbraio 2013

Carta di giornale

Come la carta di giornale, usata sotto la camicia per riparare dal freddo o per accendere un fuoco, accatastata in un angolo a memoria di una vita trascorsa in fretta o sistemata alla meglio sul fondo di una cassetta di plastica per conservare a lungo un frutto.
Come carta di giornale, che leggi distrattamente alla fermata del bus intanto che con gli occhi guardi chi ti passa accanto e fai l'elenco delle tappe della tua giornata, un'altra, la solita, a scandire un tempo che non decidi tu.
Come carta di un giornale, che si piega per una folata di vento e perde il suo allineamento e ti devi impegnare per restituirgli la forma originale, che poi a riaprirlo, non darà più la stessa emozione.
Come carta di giornale, che chiami quotidiano, appare tra le tue mani ogni mattina e sparisce ogni sera, con il suo carico di novità, che molto spesso, sono già vecchie di un giorno.
Come carta di giornale, l'inchiostro profuma appena uscito di stampa, ti macchia le dita, dita che la sera userai per una carezza, per asciugare una lacrima tua o di qualcun'altro, per sfiorarti, che ti serviranno per premere dei tasti con una lettera alla volta per raccontare il fiume che, dentro di te, vorrebbe tracimare in un attimo.
Come carta di giornale, le cui pagine si sono staccate, e in un mulinello di vento, su un marciapiede affollato, vengono prese a calci dai passanti.

domenica 3 febbraio 2013

Il futuro


Io quando giro per strada o accendo la televisione o leggo un libro o il giornale mica ci penso che quell’istante lì sto vivendo un potenziale momento che domani sarà storia.
E quando quel pomeriggio di marzo del 1977, una domenica, si giocava il derby Genoa-Sampdoria e io allora avevo quindici anni e facevo il venditore di cuscini allo stadio e per quel motivo, la partita, poi la vedevo in tribuna, nella parte semivuota verso gli angoli del campo, ma essendo il derby c’era un sacco di gente anche lì, per cui l’ho vista in tribuna ma in piedi sullo schienale dell’ultima panca di legno, con la mano appoggiata al muro dietro di me per non cadere. Quando Pruzzo ha fatto quel gol di testa che ancora ce l’ho in mente, io in quel momento ero felice ma allo stesso tempo ero parte di un momento storico.
Tanto che oggi, quando mi capita di rivedere i filmati in bianco e nero di quel gol, quando la telecamera gira verso quel lato della tribuna, mi viene da pensare che in mezzo a quella massa di teste, c’era anche la mia e in quel momento avevo molti pensieri. Pensavo che ero scomodo in quella posizione, obliquo con tutto il peso del corpo sul braccio destro e il collo che doveva allungarsi per vedere il campo; e pensavo che avevo venduto molti cuscini e quella sera mi sarei portato a casa qualche lira in più e soprattutto, quando la palla è entrata, era solo un gol, non quel gol
Con il passato e il presente a un certo punto cominci a fare i conti. Siamo un po’ tutti distratti e siamo tutti un po’ troppo concentrati a vivere il quotidiano che neppure ci pensiamo, per lungo tempo, a questa cosa del presente e del passato. Preferiamo dire che siamo proiettati al futuro. Ma cosa significa? A me sembra sia come se uno nascesse e dopo un minuto ragionasse sul giorno della sua morte. Il futuro a cercarlo così intensamente, non porta nulla di buono.
Il futuro non serve cercarlo. E’ una grande bugia che ci ficcano nella testa per ammazzarci prima del tempo e renderci silenziosi e ubbidienti. C’è solo quel presente, quel gesto, quel preciso momento, che come il gol di Pruzzo, ci penserà autonomamente a collocarsi nel futuro non prima di essere diventato passato nella mente di tutti. Anche di Pruzzo.
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