La macchina mi ha sputato in mano il biglietto. Ho guardato i segni oracolari incisi sulla carta. Il mio destino scritto nero su bianco. Penso solo al mio futuro più prossimo. Quanta fila dovrò fare. Andare alle poste è sempre un’avventura. Sono uscito dall’ufficio un’ora prima. Voglio stare tranquillo e pagare il mio bollettino. Il cartellone luminoso sembra volermi scoraggiare. “A031 sportello 6” la scritta porta con sé una previsione nefasta. Una lunga attesa indefinita. Le cifre che stringo sfiduciato mi collocano alla posizione “A121”.
Ma non si è mai chiesto nessuno perché ci infliggiamo questa tortura? Perché metterci in coda per farci trattare male? E poi dare anche dei soldi a quelli che ci seviziano? Attendere! Non si fa che attendere un evento straordinario. E la vita ci passa davanti, non fa la fila. Penso a queste cose mentre fisso il tabellone. Le posizioni scalano lentamente. Qualche anziana signora, professionista della coda, ha in mano un mazzo di biglietti.
“A099” ci stiamo avvicinando. Tutti con lo sguardo fisso nella stessa direzione. Un gruppo di lobotomizzati. Incomincio a dimenticarmi cosa significa godere dei piccoli piaceri della vita. Ora sono solo preoccupato di questo stupido biglietto che inizia ad assorbire il sudore della mia mano. I bordi della carta mostrano segni di cedimento, piegoline. Il suo destino è finire accartocciato nel cestino al banco. La mia speranza è abbandonarlo prima possibile.
“A110” si! Manca poco! Questa tortura sta per finire. Il mio biglietto ha un fremito e vola lontano da me. Una folata di vento. La porta scorrevole dell’ufficio si è spalancata all’improvviso. Il foglietto, custode della mia tranquillità, plana a terra. Corro a raccoglierlo. Tra l’indice e il pollice tengo il mio lasciapassare. Sollevo lo sguardo e il mio respiro si ferma. Nei miei pensieri l’avevo già spogliata.
“A111” La vita si era fermata a fare la fila. Dovevo dire qualcosa. “Buongiorno! Viene spesso qui?” Ma che cazzo di domande faccio! Mica siamo in un bar. Però mi sorride. “Sa io sono qui da due ore per pagare un bollettino.” Sto pensando alla banalità delle mie parole, lei mi risponde “Le code in posta sono insopportabili. Non trova?”
“A112” ed ecco che quando ti serve che il mondo rallenti, accelera all’improvviso. Tutto ti scivola fra le dita e ti senti incapace di reagire. Provo a ingannare lo scorrere del tempo “La vede quella signora?” le faccio “ha già venduto un decina di biglietti a dei disperati che volevano passare avanti.” Mi guarda incuriosita. I suoi occhi sono scuri e luminosi. “Ma lei che numero ha?” Le rispondo”A121!” la mia voce è ferma. Le mostro quel pezzo di carta come se fosse il simbolo della mia mascolinità.
“A113” “Devo aspettare troppo tempo” mi dice. Non la sto ascoltando, guardo rapito le sue labbra che si muovono. Una sensazione di calore e morbidezza mi avvolge. “ Se vuole le cedo il mio posto.” Ho detto veramente questa stronzata? Sono due ore di merda che aspetto e cedo il mio posto così?
“A114” “A115” l’incantesimo ha di nuovo il sopravvento su di me. Intuisco la forma dei suoi seni sotto la camicetta. “Ma non si deve disturbare. Lei aspetta da così tanto.” Fa lei premurosa.
“A116” non capisco come, ma insito contro la mia volontà. Le porgo il biglietto appiccicaticcio. Mi guarda quasi con faccia disgustata. Sembra che stia per andare via. Si guarda intorno.
“A117” “A118” “A119” ho già percorso una ventina di volte il suo corpo con notevole sforzo per i miei bulbi oculari. Si gira di nuovo “Ma non vorrei approfittare, lei è troppo gentile.”
“A120” “Non si preoccupi, lo prenda.” Mi sfila l’ultima speranza di mano. Trattengo con le narici il suo profumo mentre si allontana.
Bip “A121”
Sono di nuovo in attesa.